Nel registro in basso due
episodi relativi a san Bevignate fiancheggiano la
Crocefissione. A sinistra, dove la pittura è ridotta ad una
esigua fascia per l'apertura di una porta, si scorge oggi
solo la testa di un vescovo, il quale, secondo Ettore Ricci,
sta consegnando al novello eremita il saio bianco. A destra
la scena appare meglio conservata: lo stesso presule è
ritratto nell'atto di benedire Bevignate, il quale accenna
ad inchinarsi, mentre tra i due personaggi un cippo
perfettamente allineato porta sulla fronte una iscrizione
in parte ancora leggibile
SANTUS BEVEGNATE IN SUO RECLUSORIO PER OCTO…..Si tratta,
sempre secondo il sopraccennato autore, della concessione
solenne del luogo, nella selva lontana mezzo miglio dalla
città di Perugia, ove venne appunto costruito l'oratorio e
la chiesa. La maggiore intensità pittorica che si riscontra
in questi affreschi, l'impasto più ricco, la più ferma e
sostanziosa presenza del menisco nel bel mezzo della
guancia, le lumeggiature più risentite, parlano di una
migliore qualità. Tuttavia, piuttosto che giustificarla con
l'intervento di una mano più abile, più dotta, mi parrebbe
ragionevole spiegarla col fatto che si tratta di dipinti più
vicini allo spettatore, più importanti per la devozione, e
quindi anche quelli sui quali più a fondo si è impegnato
l'artista. Difatti non solo vi respiriamo sempre la solita
atmosfera figurativa fortemente conservatrice e
nostalgica, ma siamo anche dinanzi alla medesima morfologia
stilistica e fisionomica, gli stessi volti con gli occhi
grandi, cerchiati, le stesse arcate sopraccigliari a
mezzaluna, le stesse fronti basse solcate da rughe ad onda.
Inoltre è bene notare che caratteristica di questa cultura,
tutta intrisa di richiami paleocristiani, è anche la
composizione della seconda scena, ispirata con ogni
probabilità ad antichi dipinti o bassorilievi, sul genere di
questo Diniego di Pietro, del notissimo sarcofago del museo
Vaticano Pio Cristiano.
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