I Cicli murali nella
chiesa di San Bevignate a Perugia
SONO TRA I PIÚ ANTICHI DELLA STORIA DELL'ARTE
dALRelazione di Corrado Fratini all'Incontro
di studi sul tema
"La presenza templare sul territorio arnate"
8 giugno 2013
Lo
studio più completo sulla decorazione di San Bevignate
risale al 1987 e si deve a Pietro Scarpellini.
L'edificio templare, dedicato ai santi Girolamo e Bevignate
venne iniziato nel 1256 e i lavori dovevano essere a buon
punto nell'ottobre 1262, se Bonvicino rettore fece richiesta
ai canonici della cattedrale di quondam marmoreum lapidem.
I caratteri stilistici dei dipinti inducono a metterli in
relazione con altri lavori presenti a Perugia e dintorni,
nella chiesa di Sant'Apollinare e in San Prospero, dove si
può osservare un ciclo assai esteso datato al 1225 e firmato
da Bonamico per i quali Scarpellini coniò l'azzeccata
definizione di "sermo rustìcus: "un linguaggio non aulico,
estremamente semplificato, fortemente didascalico, di
esecuzione rapida, corsiva ma di notevole efficacia
comunicativa" anche se in San Bevignate "il livello
artistico appare senz'altro superiore a quello di San
Prospero" .
II complesso progetto iconografico fu realizzato in tempi
assai ristretti e presenta unitarietà nel programma e nelle
modalità di esecuzione, al punto che si potrebbe trattare di
un'unica maestranza, all'interno della quale agivano tre
mani diverse, battezzate convenzionalmente:
-Primo Maestro,
-Secondo Maestro e
-Terzo Maestro di San Bevignate;
Una maestranza che utilizzava la medesima tecnica
d'affresco:
-la tavolozza nero, rosso, giallo e grigio in linee rapide,
-colori più densi o più liquidi per le stesure
-forti lumeggiature al bianco di calce.
Considerando i rapporti con gli affreschi di San Prospero e
di sant'Apollinare, si può ragionevolmente credere che il
linguaggio espresso in San Bevignate sia peculiare di
Perugia, anche in considerazione del fatto che in altri
centri dell'Umbria si riscontrano, negli anni 1260-1270,
indicati da Scarpellini come gli estremi cronologici
dell'impresa, caratteri stilistici ben differenti (come, ad
esempio, a Spoleto, Todi, Foligno, Assisi, Terni, Orvieto e
Gubbio). Su questa base è ragionevole pensare che i tre
maestri fossero del posto o comunque lì fortemente radicati
.
|
Il
Primo Maestro di San Bevignate,
cui spetta l'impresa condotta nella cella, è colui che
mostra la cultura più arcaizzante, anche se stimolato da
nuovi riferimenti iconografici, probabilmente forniti dai
committenti, diventa l'interprete di una grafica "acutamente
descrittiva", carattere che rimarrà un tratto caratteristico
della pittura e miniatura perugina degli anni a venire.
Un linguaggio che continuerà ad affiorare in forma più o
meno palese per tutto il Trecento.
Il Secondo Maestro di San Bevignate,
è senza dubbio il meno dotato dei tre, accurato nelle parti
decorative, quando deve esprimersi in scene di movimento
risulta goffo e impacciato, come si può evincere dalla scena
di battaglia sulla controfacciata pensata come un 'fermo
immagine'.
Il Terzo Maestro di San Bevignate,
È sicuramente il più dotato del gruppo. Si distingue dagli
altri per un più libero ed estroso modo di disegnare e
dipingere, per uno stile in certo modo impressionistico
[...] È chiaro che anche lui teneva sott'occhio diversi
libri (forse era un miniatore); me è altrettanto evidente
che la sua cultura figurativa si appoggia altresì sulla
conoscenza di un notevole repertorio, in cui sono frequenti
i richiami al mondo paleocristiano, romano o ravennate, e
dove si riflettono ancora, seppure in forma dialettale,
spunti provenienti dal naturalismo antico.
Va detto che di lì a poco su Perugia si sarebbe abbattuta
una ventata di novità quasi sconvolgenti provenienti da
Assisi o dall'Oriente:
le tavole dipinte dal Maestro di San Francesco - dove
elementi bizantini si fondono con tratti della cultura
transalpina - e in particolare alla Croce destinata a San
Francesco al Prato, datata 1272. E ancora al bellissimo,
potente Trittico (Tabernacolo) Marzolini oggi nella Galleria
Nazionale di Perugia, in cui si coglie il portato della
cosiddetta "lingua franca" nata appunto nel composito mondo
delle crociate. Un'opera che Scarpellini ipotizzava
destinata proprio all'altare maggiore di San Bevignate, su
cui peraltro non si hanno certezze, come sostiene Francesco
Piagnani, che pensa invece ad una originaria destinazione
francescana.
Secondo Scarpellini questi affreschi sono stati snobbati
dalla critica con l'unica eccezione del Garrison, quali
esempi troppo infimi e troppo informi per interessare
in qualche modo la storia dell'arte. Ma è altrettanto vero
che tale giudizio deve venire rivisto alla luce di una
nuova attenzione per un "sermo rusticus", ovverosia un
linguaggio riassuntivo, essenzialmente grafico, che ferma
pochi tratti fondamentali dell'immagine, estrapolandoli
dalla cifratura stilistica dell'arte più dotta ed elevata,
riducendoli ad esemplificazioni elementari, di grande
evidenza.
|